È bello vivere oggi con voi il ventesimo anniversario dacché il vostro gruppo di assistenti universitari cattolici è stato istituito ed ha avuto come sede la Casa Pio X.
Vent’anni di esistenza dicono tante cose.
Innanzitutto l’impegno della diocesi (che ha nel suo centro la sede di una delle più antiche e illustri università) a sostenere e seguire alcuni suoi figli, affinché, formati nella fede e nella cultura, diano testimonianza credibile di vita cristiana soprattutto nel mondo degli intellettuali; poi l’impegno vostro, cari amici, a procedere con assiduità e costanza nell’opera di ricerca e di approfondimento nei vari campi dello scibile umano, sempre illuminati dalla luce della fede cristiana e con il desiderio di contribuire personalmente all’avvento del regno di Dio nel mondo.
Pertanto il vostro gruppo, nato vent’anni or sono e continuamente rinnovato da giovani speranze, ha avuto e continua ad avere un senso, e realizza la sua significativa presenza nel mondo universitario.
Questa iniziativa, che ha avuto il suo primo avvio dal grande cuore del papa Pio XII, è stata da noi subito recepita e, lo speriamo, ha dato e continua a dare i suoi buoni frutti. Molti giovani passati per questo gruppo sono già titolari di cattedre universitarie, altri vi si preparano.
Ringraziamone vivamente il Signore. La nostra preghiera oggi ha soprattutto questo scopo, perché siamo intimamente convinti che «tutto ciò che abbiamo di buono e di perfetto, viene dall’alto: è un dono di Dio» (Gc 1,17).
L’intenzione che ha presieduto al sorgere del vostro gruppo è stata quella precisa convinzione che la Chiesa ha sempre sostenuto: il vangelo va presentato a tutti, anche e specialmente agli uomini di cultura; sia perché essi ne hanno particolarmente bisogno, trovandosi di fronte a problematiche complesse e a proposte culturali talvolta seducenti ma anche fuorvianti dalla fede, sia perché negli uomini di cultura Cristo desidera trovare degli apostoli del suo vangelo per tante persone che altrimenti rimarrebbero escluse dal suo annuncio.
Chiesa ed evangelizzazione
La Chiesa esiste per evangelizzare: «essa ha una viva consapevolezza che la parola del Salvatore – “Devo annunziare la buona novella del regno” – si applica in tutta verità a lei stessa. E volentieri aggiunge con s. Paolo: «Per me, evangelizzare non è un titolo di gloria, ma un dovere. Guai a me se non predicassi il vangelo!”» (Evangelii Nuntiandi 14).
In quest’opera di evangelizzazione, la Chiesa ha sempre guardato con particolare impegno al mondo della cultura, Essa apprezza la cultura, la stimola, vede in essa un dono prezioso che Dio offre all’uomo, dono che va esteso il più possibile, affinché liti ne possano usufruire per diventare più uomini, più simili a Dio, che è sede della sapienza.
Fin dalle sue origini la Chiesa ha realizzato un approccio e una collaborazione con il mondo della cultura. Pur trovandosi di fronte a una cultura pagana, la Chiesa antica non l’ha mai rigettata, ma ha cercato di purificarla dalle incrostazioni negative e di coglierne quei nuclei di valore che mai sono assenti dagli sforzi umani.
Nella storia bimillenaria della Chiesa cattolica, sono innumerevoli e ben noti i personaggi che hanno vissuto in modo stupendo e inscindibile il binomio di fede e cultura; questo conferma il rapporto di simpatia che la Chiesa ha sempre avuto per il mondo della cultura.
Noi, di Padova, non possiamo dimenticare i santi e i beati che sono passati attraverso la nostra università e che hanno lasciato una traccia nella storia: s. Alberto Magno, s. Antonio M. Zaccaria, s. Francesco di Sales, s. Gregorio Barbarigo, ecc.
Certo, non mancarono talvolta le tensioni tra scienza e fede; ma questi piccoli nèi, pressoché inevitabili nello sforzo di distinguere le reciproche sfere di competenza, non offuscano minimamente l’apprezzamento e l’appoggio che la Chiesa ha dato alla filosofia, alla scienza, alla cultura in generale.
Ci furono tempi in cui l’unica luce culturale era data dalla Chiesa; e moltissimi documenti del passato sono giunti a noi proprio attraverso gli uomini di Chiesa.
Non era tanto in funzione strumentale che la Chiesa sosteneva la filosofia, la scienza, l’arte; certamente l’annuncio del vangelo veniva da esse facilitato; ma era la consapevolezza che la cultura ha un valore per se stessa, è un dono di Dio creatore, e non si può pertanto trascurarla senza incorrere nella sua condanna e soprattutto senza che l’uomo ne risenta un ritardo nella sua necessaria promozione.
Di questa consapevolezza, sempre più radicata nel corso dei secoli, la Chiesa ha dato chiara testimonianza nel Concilio Vaticano II, scrivendo: «Il sacro Concilio dichiara che esistono due ordini di conoscenza distinti, cioè quello della fede e quello della ragione, e che la Chiesa non vieta che le arti e le discipline umane si servano, nell’ambito proprio a ciascuna, di propri principi e di un proprio metodo; perciò, riconoscendo questa giusta libertà, la Chiesa afferma la legittima autonomia della cultura e specialmente delle scienze» (Gaudium et Spes, 59).
Certo, gli uomini di cultura che professano la fede cristiana, si trovano spesso di fronte a difficoltà non lievi per la loro fede.
Le difficoltà della fede
Lo stesso pluralismo culturale può innanzitutto costituire un pericolo per la fede, soprattutto per chi non è in essa sufficientemente ferrato. Il pluralismo non è male quando è sinonimo di rispetto reciproco delle persone che sono sinceramente alla ricerca della verità e del bene. Accettare il pluralismo significa allora essere consapevoli dei limiti della ragione umana; ogni persona vede la realtà dal proprio punto di vista e quindi in modo parziale; ciò comporta allora tanta umiltà e l’esigenza di essere completati dall’apporto altrui. Quando invece per pluralismo s’intende l’affermazione categorica e assoluta del soggettivismo eretto a sistema, con la conseguente negazione della verità obiettiva, allora pluralismo è sinonimo di orgoglio intellettuale e non porta frutti buoni, bensì il dubbio, l’indifferenza e lo scontro tra le persone.
Altro pericolo per la fede è costituito dalle diverse ideologie politiche che sempre più chiaramente si servono della cultura per sostenere i loro principi e programmi.
Abbiamo allora l’asservimento della cultura, da cui metteva in guardia la «Gaudium et Spes»: «Bisogna insistere, affermano i vescovi nel concilio, che la cultura, stornata dal proprio fine, non sia costretta a servire il potere politico o il potere economico» (Gaudium et Spes, 59). E poiché le ideologie sono totalizzanti, è facile che l’uomo di cultura, che presta ad esse il proprio servizio, non solo perda la sua libertà di pensiero, ma metta in serio pericolo la propria fede.
E c’è infine un pericolo sempre ricorrente nell’uomo di cultura, che è quello dell’agnosticismo e, peggio, dell’autosufficienza. Così lo descrive ancora il Concilio: «L’odierno progresso delle scienze e della tecnica, che in forza del loro metodo non possono penetrare nelle intime ragioni delle cose, può favorire un certo fenomenismo e agnosticismo, quando il metodo di investigazione di cui fanno uso queste scienze viene innalzato a torto a norma suprema di ricerca della verità totale. Anzi, vi è il pericolo che l’uomo, troppo fidandosi delle odierne scoperte, pensi di bastare a se stesso e più non cerchi cose più alte» (Gaudium et Spes, 57). In un analogo pericolo si incorre quando, superando i limiti della pur legittima autonomia che la cultura rivendica a sé stessa, si cade in un umanesimo puramente terrestre, anzi avverso alla religione (cfr. GS 56).
È doveroso conoscere questi ed analoghi scogli, per non sbattervi addosso e perdere così il dono più prezioso, che è costituito dalla fede.
Diffondere la fede
Non basta, tuttavia, cari amici, difendere la nostra fede dai pericoli che la minacciano; è necessario impegnarsi positivamente per diffonderla: a questo siamo chiamati, perché facciamo parte della Chiesa che è comunità evangelizzante.
Voi avvicinate quotidianamente persone e luoghi che spesso sono inaccessibili ad un annuncio diretto ed esplicito del vangelo. Certe situazioni sono veramente provvidenziali a questo scopo. S. Paolo, scrivendo dal carcere ai cristiani di Filippi, osservava con soddisfazione: «La situazione in cui mi trovo è diventata una buona occasione per diffondere il messaggio del vangelo. Nel palazzo del governatore e fuori, ora, tutti sanno che mi trovo in prigione per la causa di Cristo. La maggioranza dei fratelli ha acquistato una fiducia più grande nel Signore, proprio perché io sono
in prigione e annunziano la parola di Dio con più coraggio e senza paura» (Fil 1,12 ss.).
Non si potrebbe dire qualcosa di simile per voi?
Ancora: la vostra conoscenza del messaggio rivelato e, d’altra parte, la vostra competenza professionale vi offrono la possibilità di fare sintesi tra fede e cultura, sintesi che è vivamente auspicata dal Concilio: «La cultura umana (afferma la Gaudium et Spes), oggi si deve sviluppare in modo da perfezionare con giusto ordine, la persona umana nella sua integrità e da aiutare gli uomini nell’esplicazione di quei compiti, al cui adempimento tutti sono chiamati, ma specialmente i cristiani, fraternamente uniti in una sola famiglia umana» (GS 56).
Ciò verrà agevolato se, accanto al prestigio culturale, vi sforzerete di offrire a tutti la testimonianza di una vita vissuta in coerenza al vangelo del Signore: «Ecco, scrive Paolo VI, un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comunità d’uomini nella quale vivono, manifestano capacità di comprensione e di accoglimento, comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà negli sforzi di tutti per tutto ciò che è nobile e buono. Ecco: essi irradiano, inoltre, in maniera molto semplice e spontanea: la fede in alcuni valori che sono al di là dei valori correnti, e la speranza in qualche cosa che non si vede e che non si oserebbe immaginare (EN 27).
Si potrà così ovviare a quel triste fenomeno della «rottura tra vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca come lo fu anche di altre. Occorre quindi tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la buona novella. Ma questo incontro non si produrrà, se la buona novella non è proclamata» (EN 20).
Amici carissimi, per questo è sorto il vostro gruppo, per questo esso continua a sussistere: voi ne siete ben consapevoli. E un grande compito quello che il Signore vi affida. Può darsi che a volte esso appaia superiore alle vostre forze. E il momento allora di chiedere a Dio la sapienza, come insegna s. Giacomo: «Fratelli miei, anche se dovete sopportare prove di ogni genere, rallegratevi. Sapete infatti che se la vostra fede supera queste prove, voi diventerete forti. Anzi, tendete a una fermezza sempre maggiore, così che voi siate perfetti e completi, sotto ogni aspetto. E se qualcuno di voi non è saggio, chieda a Dio la saggezza e Dio gliela darà, perché Dio dà a tutti
volentieri e generosamente. Ma bisogna chiedere con fiducia, senza dubitare» (Gc 1,2-6).
Ed ora, a conclusione di queste riflessioni, eleviamo al Signore la preghiera, che la Chiesa recita nella festa dello scienziato e vescovo s. Alberto Magno: «O Dio, che hai reso grande s. Alberto, nel ricercare l’armonia tra la sapienza umana e la verità rivelata, fa che, illuminati dal suo insegnamento, attraverso il progresso scientifico possiamo crescere nella tua conoscenza e nel tuo amore».
Girolamo Bortignon
Discorso ai docenti universitari e professionisti, nel XX della fondazione del “Gruppo assistenti universitari di Casa s. Pio X» – Padova, 17 dicembre 1977.
Tratto da Girolamo Bortignon, Scritti e discorsi del vescovo Girolamo Bortignon, Antoniana Industria Tipografica, Padova 1979, pp. 633-636. Fonte Bollettino Diocesano 1977, pp. 529-532.