Fin dall’età medievale i Collegi residenziali rappresentarono una risposta concreta alle esigenze materiali di giovani carenti di risorse economiche ma intenzionati a condurre gli studi universitari.Si trattò di un settore verso il quale l’articolata realtà ecclesiale manifestò attenzione in molte aree d’Europa fin dalle origini delle esperienze universitarie (secoli XII – XIII), come dimostra nel 1180 l’acquisto da parte di un pellegrino di ritorno dalla Terrasanta di una camerata dell’Hotel-Dieu per dare ospitalità a «scholares clerici» desiderosi di formarsi nelle scuole della futura Università di Parigi.
A Padova il primo Collegio di cui abbiamo notizie certe ed abbastanza esaurienti fu il Campion/Tornacense, così denominato perché dedicato a Santa Maria di Tournai (città appartenente all’attuale Belgio), ma noto anche come Collegio Campion, perché situato nella contrada del Pozzo Campion (attuale via Galileo Galilei). Chiamato ad accogliere studenti di diritto canonico, trovò presto il sostegno di Bonicontro de’ Boatieri, abate del monastero di San Cipriano di Murano, e dal fratello di questi, l’avvocato bolognese Piero de’ Boatieri, docente di diritto canonico presso lo Studio padovano. Avviata nel 1367, la struttura affiancò il Collegio Carrarese, voluto negli stessi anni da Francesco I da Carrara per studenti di diritto civile.
A quella del Campion/Tornacense, nei decenni successivi, fece seguito la fondazione di altri due collegi promossi da ecclesiastici. Il più rilevante fu il Collegio Pratense, poi denominato Collegio del Santo perché adiacente alla Basilica, o dei Friulani, istituito nel 1394 per dare ospitalità ad una ventina di studenti dal cardinale Pileo da Prata, già vescovo di Padova, successivamente arcivescovo di Ravenna ma soprattutto figura di rilievo europeo in ragione del suo impegno diplomatico a tutela del Papato. Successivamente, nel 1456, nacque con finalità pie il Collegio Spinelli, istituito da Belforte Spinelli, vescovo di Cassano ma figura spesso presente nella città di Padova. Nel 1509, alla vigilia della lunga e devastante guerra di Cambrai, tre dei cinque collegi universitari attivi a Padova erano di fondazione ecclesiastica e contribuivano in maniera significativa alla rete di assistenza che permetteva ad 1 studente ogni 7 di fruire di una borsa di studio e/o di un alloggio gratuito o a pagamento.
Pur non mancando intemperanze e scorrettezze da parte degli studenti, nei collegi di fondazione ecclesiastica la vita era impostata secondo i criteri della vita monastica, prevedendo l’assunzione dei pasti in silenzio accompagnata dall’ascolto delle Sacre Scritture e l’impegno dei collegiali ad andare insieme alle lezioni. A cambio dell’ospitalità e del sostegno economico veniva chiesto ai futuri dottori di prestare, dopo la laurea, la propria opera gratuitamente a quanti, per ragioni di indigenza, non fossero stati in grado di pagarli. Quest’ultimo aspetto fu presente anche nelle strutture di fondazione laica: agli studenti di legge e medicina originari di Feltre e gratuitamente ospitati nella casa aperta da Cornelio Castaldi era, ad esempio, domandato di giurare sopra il vangelo di patrocinare e medicare i poveri «senza altro premio, eccetto quello di Gesù Cristo rimuneratore sempre munificentissimo».
Tra il XVI e il XVII secolo, nel contesto della Riforma cattolica, l’azione ecclesiale ed ecclesiastica di assistenza a favore degli studenti riprese con vigore dopo un periodo di attenuazione avutosi nella prima metà del Cinquecento, pure caratterizzato dall’azione di riordino disciplinare dei collegi svolta dal vescovo Pietro Barozzi (1487 – 1507). Ad opera dei vescovi di Belluno Giulio Contarini e Alvise Lollin e di c, canonico di Piove di Sacco, vennero istituite tre fondazioni con consiglio di amministrazione per l’erogazione di borse di studio a studenti di teologia e diritto canonico. Sorsero i collegi Cocco, Amuleo e Superchi, promossi per dare ospitalità e sostegno economico a giovani appartenenti a famiglie patrizie veneziane decadute.
Tra il XVIII e il XIX secolo l’assistenza promossa dalla Chiesa a favore degli studenti fu limitata dapprima dalle politiche di laicizzazione della Serenissima, successivamente dalle intromissioni napoleoniche, infine dal protagonismo del Regio Governo austriaco, che assunse il controllo di tutte le fondazioni e legati pii esistenti a favore della popolazione studentesca. L’unico collegio che mantenne una certa autonomia fu il Collegio Tornacense che, accogliendo studenti di teologia, passò alle dipendenze del Seminario di Padova e, per suo tramite, del vescovo di Padova, che, in ragione dei vincoli testamentari legati al collegio, era, però, tenuto ad offrire dei posti a chierici di altre diocesi, opportunità di cui fece uso, durante gli anni Cinquanta dell’Ottocento, il giovane Giuseppe Sarto, che, dopo una lunga carriera ecclesiastica, sarebbe diventato pontefice con il nome di Pio X.
Durante la dominazione austriaca comparvero i primi segnali di cambiamento nel modo di pensare la struttura dei collegi. Mentre iniziava a profilarsi l’idea di un Collegio imperiale chiamato a contribuire alla realizzazione di uno stretto rapporto fra ateneo e territorio, il sacerdote veronese don Nicola Mazza (1790 – 1865), pur non possedendo grandi risorse finanziarie, aprì in via Ognissanti una casa universitaria, in cui accogliere giovani provenienti dagli ambienti contadini ed operai, fino a quel momento esclusi da ogni possibilità di conseguire un’istruzione universitaria accessibile unicamente a quanti provenivano dalla borghesia o dalla nobiltà. Differentemente dai collegi realizzati nei secoli precedenti a Padova, la struttura mazziana fu portatrice di un forte progetto educativo, che puntò a saldare insieme promozione sociale e formazione morale. A causa delle scarse disponibilità economiche, il collegio dovette chiudere nel 1859, lasciando, però, una traccia importante, destinata ad ispirare nuove fondazioni nel secolo successivo.
Con l’aumento della popolazione studentesca crebbe l’urgenza di strutture più grandi ed organizzate. Su questo fronte, la risposta più tempestiva ed efficace venne data dai padri gesuiti. Negli ultimi anni dell’Ottocento, aprirono in zona Portello un Pensionato universitario, collegato alle opere di carità e di assistenza organizzate a favore dei poveri del quartiere. Consapevoli dell’inadeguatezza della struttura, capace di ospitare solamente 25 giovani, i gesuiti, guidati da padre Giuseppe Stanislao Leonardi, avviarono nel 1901 il progetto di costruzione di una residenza per universitari, simile a quella dei colleges inglesi. L’iniziativa trovò la sua concretizzazione nel 1906 con l’inaugurazione in via San Leonini (attuale via Briosco) dell’Antonianum (dal 1948 Collegio Universitario Antonianum), un edificio imponente, dotato di 107 stanze, di una biblioteca e di spazi di aggregazione per gli studenti. Sorto con l’approvazione e il sostegno di papa Pio X, l’Antonianum, coniugando dimensione culturale, ricreativa e morale, rappresentò una risposta decisa all’anticlericalismo e al positivismo con cui gli studenti erano chiamati a misurarsi frequentando ambienti universitari profondamente distanti dalla Chiesa. Nel corso dei decenni successivi l’Antonianum, oltre ad ospitare centinaia di studenti universitari (agli inizi degli anni Settanta il collegio dava ospitalità a circa 200 studenti universitari), divenne un punto di riferimento importante per la vita culturale e sportiva della città di Padova, promuovendo seminari e convegni e lanciando gruppi sportivi importanti come il Petrarca football club, il Petrarca pallavolo, basket e rugby.
Durante il ventennio fascista l’attività di assistenza svolta dalla Chiesa locale a favore degli studenti si consolidò con l’apertura per gli universitari maschi della Casa dello Studente “Aristide Stefani”, gestita dalla Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), e l’avvio per le studentesse (il cui numero era in espansione dagli anni della prima guerra mondiale) del Collegio “Dimesse”, del Pensionato Universitario “Sacro Cuore” e del Collegio “Canossa”, strutture chiamate a soddisfare le richieste di alloggio che non riusciva ad evadere la pure imponente Casa dello Studente “Arnaldo Fusinato”, inaugurata dall’Università nel 1935 dopo un lungo e sofferto iter di costruzione.
A partire dalla fine degli anni Quaranta, nonostante i numeri delle iscrizioni all’Università di Padova si mantenessero costanti (nell’arco di dieci anni gli iscritti aumentarono di appena 500 unità, passando da 6229 iscritti nell’a.a. 1949-50 a 6702 nell’a.a. 1958-59), le strutture ecclesiastiche volte a dare alloggio e assistenza agli studenti aumentarono. Dopo la nascita del Collegio “Studium”, sorto nell’immediato dopoguerra presso la parrocchia della Sacra Famiglia, nel 1948, per impulso di don Giuseppe Tosi, sacerdote della Pia Società Don Mazza di Verona, aprì in via Umberto I il Collegio “Don Mazza”, intitolato al fondatore dell’Istituto e, nel 1953, spostato nell’ex convento di Sant’Antonio Abate, che, dagli anni Settanta del Settecento, aveva ospitato dapprima il Collegio San Marco e, successivamente, una caserma: come cent’anni prima l’obiettivo della struttura fu quello di permettere il conseguimento di un’istruzione universitaria a giovani di umili origini e di formarne la coscienza cristiana anche in rapporto ai futuri sbocchi professionali. L’importanza e l’autorevolezza del “Don Mazza” furono confermate dal suo coinvolgimento nell’organizzazione dei primi corsi estivi universitari a San Martino di Castrozza nel 1951 e a Bressanone a partire dal 1952 e dal riconoscimento nel 1954, da parte del Ministero della pubblica istruzione, della qualifica di ente morale di cultura e assistenza. La disponibilità di una struttura imponente permise al Collegio “Don Mazza” di rispondere alle esigenze di ospitalità di centinaia di studenti, arrivando a dare alloggio a 299 studenti nel 1972.
Nel 1950 nacque il Cuamm (Collegio universitario aspiranti medici missionari) per iniziativa del prof. Francesco Canova, medico, libero docente di Igiene e di Clinica delle malattie tropicali e subtropicali. Fondata sul riconoscimento che l’impegno ad evangelizzare apparteneva ad ogni battezzato, questa struttura collegiale puntò a saldare la professionalità scientifica maturata con lo studio e la ricerca universitari con un percorso di crescita spirituale volto allo sviluppo di una coscienza missionaria tra gli studenti di Medicina e divenne rapidamente un centro di grande rilievo per la coltivazione di solidi e profondi rapporti con i paesi del Terzo Mondo.
A queste strutture dotate di uno specifico valore educativo ed ecclesiale si aggiunsero, a partire dagli anni Sessanta, collegi promossi dagli ordini religiosi presenti in città per dare una risposta alla richiesta di alloggi avanzata da una popolazione studentesca in rapido aumento (da circa 10.000 studenti iscritti nell’a.a. 1960-61 si passò a 29.860 studenti nell’a.a. 1968-69), le cui esigenze erano solo parzialmente soddisfatte dalla pure imponente attività di costruzione promossa dal Consorzio edilizio universitario. Per integrare l’offerta delle strutture pubbliche sorsero, tra il 1960 e il 1982 i collegi “Santa Giustina”, inserito nell’omonima abbazia, “Madre Dositea Bottani”, aperto dalle suore orsoline di Gandino, “Laurentianum”, gestito dai frati cappuccini, “Cristo Re”, dipendente dalle suore francescane di Cristo Re, “Beato Claudio Granzotto” e “San Francesco”, fondati dalla Provincia veneta di S. Antonio dei frati minori, il convitto “Murialdo” in via Grassi nel quartiere Stanga, gestito dai padri Giuseppini, e la residenza aperta dai Missionari del Verbo Divino in via Forcellini.
L’incremento di collegi e strutture ricettive legati alla realtà ecclesiale si intrecciò con lo sviluppo della pastorale universitaria promossa durante l’episcopato di Girolamo Bortignon (1949 – 1982). Oltre ad appoggiare con decisione il Cuamm, questo vescovo sollecitò l’accoglienza di studentesse straniere presso Casa Santa Angela Merici, favorì l’arrivo dei Dehoniani, a cui consegnò la direzione del Collegio “Presbyterium” in via del Santo, e dei Salesiani promotori dell’avvio del Collegio Universitario “Don Bosco”, supportò l’istituzione di collegi femminili (Collegio Universitario “Marianum”, diretto dalle Religiose dell’Assunzione, Collegio Universitario “Maria Immacolata” promosso dalle madri canossiane, Pensionato universitario “Sorelle della Misericordia” e il Collegio “Paolo VI”, gestito dalle Missionarie laiche di Brescia) e fece sorgere i collegi “Giacomo Leopardi” e “Gregorianum”. Quest’ultimo fu inizialmente emanazione della Fuci nazionale, allora diretta da mons. Franco Costa, che ne dettò le idee fondanti: una formazione cristiana, arricchita dalla frequentazione della Bibbia e dei Padri della Chiesa e dalla meditazione teologica; una solida preparazione accademica nella facoltà universitaria prescelta, come presupposto per un efficace servizio ai fratelli nella professione; l’attenzione alle problematiche civili e politiche, cui un intellettuale è chiamato a dare un apporto consapevole. Il primo direttore fu Carlo Maria Gregolin, già presidente centrale della Fuci e poi preside della facoltà di medicina; la cura pastorale fu affidata da mons. Bortignon a don Ivo Sinico, già assistente al “Don Mazza” e direttore dello “Studium”.
Questo ampio ventaglio di interventi promossi dal vescovo Girolamo Bortignon fu la manifestazione concreta di un impegno pastorale che considerava l’effettivo accesso all’istruzione come condizione irrinunciabile allo sviluppo di una società autenticamente democratica e attenta allo sviluppo integrale della persona.
Il supporto concreto a quanti partecipavano alla vita universitaria non si limitò agli studenti ma si estese ai giovani laureati che, desiderosi di continuare l’attività di ricerca, si scontravano con il problema della scarsa disponibilità di risorse economiche. Nel 1957 mons. Bortignon promosse la nascita de “Il Gruppo Assistenti Universitari di Casa Pio X”, accolto presso l’omonima struttura di via Vescovado. Nel corso della sua quarantennale attività (venne sciolto nel 1996), animata dalla feconda presenza di mons. Cesare Zaggia, diede ospitalità a circa cento assistenti volontari, borsisti, dottorandi che hanno svolto attività di ricerca sino a diventare, in diversi casi, professori associati od ordinari. Pensata come luogo di condivisione e di confronto, questa struttura fu una manifestazione della cura particolare ed attenta rivolta dalla Chiesa diocesana verso il mondo della cultura.