Agli inizi del Novecento il rapporto fra Chiesa e Università a Padova era caratterizzato da tensioni e competizioni, che risentivano della problematica relazione presente in Italia fra Stato e Chiesa.
Negli ambienti accademici erano diffusi orientamenti positivisti e sentimenti anticlericali, emersi con chiarezza nel 1892 durante le celebrazioni per il terzo centenario della venuta di Galileo a Padova. A questa situazione il vescovo Giuseppe Callegari, guida della diocesi tra il 1883 e il 1906, aveva reagito avviando un insieme di iniziative e istituzioni chiamate a promuovere i valori spirituali e morali della Chiesa tra gli studenti e a formare un clero culturalmente aggiornato ma pienamente inserito nel solco della rigida intransigenza cattolica. Nel 1890, infatti, aveva promosso una «Scuola di scienza religiosa» per studenti universitari in cui si tenevano lezioni che ribadivano il primato del cristianesimo sulle altre religioni, in polemica con le prospettive storico-comparative insegnate in ambito universitario, e nel 1897 aveva sostenuto la costituzione del primo circolo padovano della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci). Nel 1894 aveva ottenuto dalla Santa Sede l’istituzione, presso il Seminario vescovile cittadino, di una Pontificia Facoltà Teologica con lo scopo di rilanciare gli studi teologici a Padova e colmare localmente il vuoto provocato dall’abolizione, avvenuta nel 1873, delle Facoltà teologiche precedentemente inserite nelle università pubbliche italiane.
La difficoltà di relazioni presente fra realtà diocesana e ambienti universitari si mantenne durante i primi anni dell’episcopato di Luigi Pellizzo (1907 – 1923), vescovo battagliero, attento all’organizzazione di una solida ed efficace presenza cattolica in ambito politico, economico e sociale. In modo particolare, risultò sofferto e problematico il rapporto con la componente studentesca, nella quale erano diffusi sentimenti anticlericali e orientamenti laicisti, come indicarono le contestazioni avutesi nel maggio 1907, durante le visite del vescovo all’ospedale civile e al Palazzo del Bo (evento, quest’ultimo, assolutamente inedito e non privo di un sottofondo di sfida alla Padova anticlericale), e gli scontri che accompagnarono la processione in onore del beato Gregorio Barbarigo il 18 giugno 1911, ai quali parteciparono numerosi studenti di Medicina. Rispetto al suo predecessore Callegari, il vescovo Pellizzo, tuttavia, non considerò prioritario il confronto con le istituzioni universitarie padovane, ponendo la questione in secondo piano rispetto alla riorganizzazione del movimento cattolico.
Una timida inversione di tendenza nelle relazioni si ebbe dopo il primo conflitto mondiale. Il deciso sostegno allo sforzo bellico dei cattolici e il loro definitivo ingresso nella vita politica nazionale nel 1919, con la nascita del Partito popolare italiano, favorirono a Padova la distensione dei rapporti fra Chiesa e Università. Il vescovo Pellizzo si impegnò per ottenere il suo coinvolgimento nell’organizzazione delle celebrazioni per il VII centenario della nascita dell’Università degli Studi di Padova: pose l’evento all’attenzione di papa Pio XI e sollecitò l’intervento ai festeggiamenti del cardinale di origini pavesi Pietro Maffi, personaggio dotato di ottima cultura scientifica, all’epoca arcivescovo di Pisa e figura di spicco nel panorama culturale cattolico, nonché estimatore appassionato dell’opera di Galileo Galilei.
Questa ripresa dei rapporti fra Chiesa diocesana e Università, tuttavia, non ebbe nell’immediato grandi sviluppi. Il successore di Pellizzo, il vescovo Elia Dalla Costa (1923 – 1931), nonostante fosse stato studente dell’ateneo nell’ultimo decennio dell’Ottocento, limitò i rapporti alla sfera strettamente formale. Attento principalmente alla cura pastorale svolta nelle parrocchie e al potenziamento dell’Azione cattolica, Dalla Costa non dimostrò grande interesse per l’ambito culturale e per le relazioni con il tessuto accademico. Questo orientamento produsse un’involuzione del tessuto culturale interno alla Chiesa diocesana che ebbe come conseguenza, nel 1931, la chiusura della Facoltà Teologica interna al Seminario, incapace di adeguarsi ai requisiti richiesti dalla costituzione apostolica Deus scientiarum Dominus con cui Pio XI intese dare maggiore uniformità alla formazione teologica.
La stagnazione delle relazioni perdurò anche sotto il primo decennio del lungo episcopato di Carlo Agostini (1932 – 1949), durante il quale non mancarono segnali di cedimento dinanzi al binomio italianità – cattolicità promosso dalla Conciliazione fra Stato e Chiesa (1929). Questa tendenza trovò una sua chiara manifestazione nell’inaugurazione dell’anno accademico 1939 – 40, celebrata in cattedrale e nel Collegio sacro, la sala collegata al palazzo vescovile voluta dal vescovo Barozzi come sede per le lauree. Nell’occasione il vescovo parlò del rapporto secolare fra Chiesa diocesana e Università cittadina e di una «saggezza italiana» che, prendendo le distanze dalle visioni materialiste, consisteva «nello slancio nell’indagine, con la persuasione che lo spirito infinitamente superiore alla materia fu creato da Dio per dominarla».
Nel secondo dopoguerra, in un clima sociale e politico profondamente mutato, le relazioni fra Chiesa e Università conobbero un deciso consolidamento. Nel 1945, con l’appoggio del vescovo Agostini, nacque lo Studio teologico per i laici presso la basilica di Sant’Antonio, dove le lezioni erano tenute, oltre che da ecclesiastici, anche da importanti docenti dell’ateneo, come lo storico dell’antichità Aldo Ferrabino, rettore fra il 1947 e il 1949, e il penalista Giuseppe Bettiol, membro dell’Assemblea Costituente e poi più volte parlamentare nelle file della Democrazia cristiana. Nella Facoltà di Medicina diversi docenti aderirono al Movimento missionario classi colte e all’Unione medici missionari italiani, entrambe sorte nel 1947, segno dell’interesse per l’opera di evangelizzazione della Chiesa nei contesti extraeuropei. Nel febbraio 1949, per iniziativa di mons. Giovanni Strazzacappa, responsabile dell’Ufficio missionario diocesano, nacque il Convitto ecclesiastico missionario Presbyterium (CEMP), una struttura deputata ad accogliere una molteplicità di iniziative religiose, dove erano frequentemente ospiti professori dell’ateneo che tenevano corsi di medicina ed igiene per i missionari in partenza per l’Africa.
Il dialogo fra Chiesa diocesana e Università, tuttavia, conobbe il vero e deciso rilancio durante il lungo episcopato del cappuccino Girolamo Bortignon (1949 – 1982). Cosciente del ruolo e dell’importanza dell’ateneo per la vita della città, Bortignon pose fra le priorità del suo governo pastorale l’impegno a costruire, a più livelli, legami e collaborazioni con gli ambienti universitari: impostò un rapporto di dialogo con il rettore Guido Ferro, che diresse l’ateneo dal 1950 al 1968, manifestò attenzione verso la componente studentesca sostenendo con convinzione la Fuci e l’Intesa (l’organizzazione che, nel vivace mondo studentesco, rappresentava la Democrazia cristiana), coinvolse docenti universitari nei percorsi di formazione e aggiornamento culturale del clero e si interessò alla difficile situazione degli assistenti universitari, all’epoca privi di autentici sostegni economici per affrontare l’attività di ricerca, inaugurando nel 1957 il Gruppo Assistenti Universitari di Casa Pio X, una struttura che doveva offrire appoggio materiale a quei giovani laureati che, provenienti da famiglie economicamente non agiate, intendevano inserirsi nel mondo della ricerca e dell’insegnamento universitario.
Il vescovo intese il dialogo con gli ambienti universitari come una risorsa preziosa e fondamentale per il raggiungimento di importanti e ambiziosi obiettivi. Nel 1950 appoggiò il progetto del dottor Francesco Canova, all’epoca libero docente di malattie tropicali presso la Facoltà di Medicina, di costituire un Collegio universitario per aspiranti medici missionari (Cuamm): considerando l’iniziativa in piena sintonia con la sensibilità missionaria che stava promuovendo in diocesi, Bortignon riconobbe il Cuamm come istituto diocesano e, nel 1956, ne approvò lo statuto, che, fra le diverse specificità, prevedeva la presenza di un comitato di docenti universitari chiamati a pianificare i percorsi di studi di giovani intenzionati ad unire in sé la figura del missionario e del medico.
Nel 1954, con l’idea di rilanciare la ricerca teologica a Padova in chiave antimodernista, diede vita alla rivista Studia Patavina, nel cui comitato di redazione confluirono tanto docenti dello studium del Seminario quanto dello studium dell’Università: diretta dal teologo Luigi Sartori (1924 – 2007) e stimolata dalla componente universitaria, la rivista, prendendo strade diverse da quanto pensato inizialmente del vescovo, divenne, tuttavia, sotto la spinta dell’elemento universitario un organo di ampio respiro, aperto alle novità teologiche provenienti da Oltralpe, creando le premesse per la costituzione nel 1972 della Sezione parallela della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, da cui sarebbe scaturita nel 2005 la Facoltà teologica del Triveneto.
Nel 1965, sulla scia del rinnovato rapporto della Chiesa con la Storia promosso dal Concilio Vaticano II, il vescovo Bortignon lanciò l’Istituto per la storia ecclesiastica padovana, un ente che aveva lo scopo di promuovere in diocesi l’attività di ricerca storica secondo criteri rigorosi, predisposti da docenti universitari fra i quali spiccava la figura di Paolo Sambin, docente di paleografia latina e di storia medievale presso la Facoltà di lettere e filosofia.
Il vescovo dimostrò, inoltre, grande interesse nei confronti degli studenti universitari. Nel 1964 inaugurò il collegio Gregorianum, così denominato in onore di san Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova nella seconda metà del ‘600 noto per il suo impegno in favore delle giovani generazioni. Il collegio venne realizzato d’intesa con la presidenza nazionale della Fuci con lo scopo di far procedere di pari passo preparazione scientifica e formazione della persona, organizzando a favore degli studenti iscritti incontri e dibattiti che li spingessero a uscire dall’approfondito ma settoriale ambito dei loro studi universitari per spingerli a misurarsi con problematiche culturali di attualità. Nel 1969 dispose l’apertura del Centro Universitario in via Zabarella: sorto in un momento in cui gli estremismi politici cominciavano a creare forti tensioni in città, il Centro volle essere un luogo sottratto a logiche di parte, teso a dare risposte concrete al bisogno di socializzazione degli studenti fuori sede e a creare occasioni di studio e approfondimento su questioni di attualità sociale e culturale. Il Centro fin dal suo inizio venne affidato alla cura e alla direzione di don Cristiano Bortoli, al quale vennero associati in seguito altri sacerdoti come don Albino Bizzotto e poi don Giovanni Brusegan.
Il vescovo Bortignon e la realtà diocesana da lui dipendente dimostrarono vicinanza e solidarietà agli ambienti accademici colpiti dalle contestazioni e dalle violenze degli anni Settanta. Il vescovo offrì il proprio sostegno morale al rettore Luciano Merigliano, successo ad Enrico Opocher nel novembre 1972 e travolto fin dai suoi esordi dal clima contestatorio ed intimidatorio presente nell’ateneo. Intervenne con fermezza in occasione del brutale ferimento del professor Ezio Riondato (22 aprile 1978), titolare della cattedra di filosofia morale presso la Facoltà di lettere e filosofia e personalità di spicco dell’associazionismo cattolico, invitando l’opinione pubblica cittadina a rifuggire da atteggiamenti vendicativi.
Il ritrovato dialogo fra Chiesa e Università a Padova trovò la sua manifestazione più chiara ed evidente nella visita di papa Giovanni Paolo II. Prevista inizialmente per il 1981, la visita venne rimandata a causa dell’attentato subìto dal pontefice per mano di Alì Ağca e, pur progettata durante l’episcopato di Bortignon, ebbe luogo dopo le sue dimissioni, quando vescovo di Padova era Filippo Franceschi, già arcivescovo di Ferrara e, prima ancora, assistente nazionale del settore giovani di Azione Cattolica. Il 12 settembre 1982 Giovanni Paolo II varcò la soglia del Palazzo del Bo e tenne alla presenza delle autorità accademiche, civili e religiose un discorso in cui sollecitò l’ateneo a perseguire con rigore la ricerca della verità e a promuovere una crescita integrale della persona. Questo gesto simbolico dà inizio alla revisione del “caso Galileo” che si chiuse dieci anni dopo, nell’Anno Galileiano 1992, con un Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze (31 ottobre) e una lettera al Rettore (26 novembre).
Il lungo episcopato di Girolamo Bortignon pose le basi per la costruzione di nuove collaborazioni fra ateneo e realtà diocesana sorte durante le direzioni vescovili di Filippo Franceschi (1982 – 1988) e Antonio Mattiazzo (1989 – 2015). Nel 1983 venne aperta la “Cappella Universitaria” presso la chiesa di San Massimo in via Ognissanti, centro di una vita spirituale universitaria che si rende visibile alla cittadinanza in occasione soprattutto della messa per gli universitari che si celebra presso la chiesa di Santa Sofia alcuni giorni dopo l’inizio delle lezioni del nuovo anno accademico. Nel 1988 sorse la Fondazione Lanza, nel cui comitato scientifico entrarono numerosi docenti dell’ateneo patavino e di altre università italiane, con lo scopo di promuovere il dialogo fra fede e cultura attorno a quei valori morali che il progresso tecnico-scientifico rischia di mettere in pericolo.
Nell’arco della seconda metà del Novecento, quindi, è maturato a Padova un nuovo rapporto fra Chiesa e Università, che ha trovato un ulteriore stimolo nell’impegno posto dalle diocesi trivenete nel sostenere la nascita della Facoltà teologica del Triveneto, sorta nel 2005 e alla quale offrono la propria collaborazione alcuni docenti dell’ateneo.
Nelle mutate condizioni sociali e culturali rimane, però, aperta la domanda su come impostare nuovamente questa relazione, tenendo presenti le specificità di una realtà ecclesiale significativa per il proprio territorio e un ateneo sempre più proiettato nella competizione internazionale.