Nella sua formulazione il tema è provocatorio, anche se non intenzionalmente. Non riesco tuttavia a capire se si riferisce ad una constatazione o ad un convincimento. Preferisco pensare che non sia vera né l’una né l’altra ipotesi e si sia inteso solo suscitare la riflessione su un problema reale e di grande rivelazione.
Cominciamo intanto a chiarire i termini per procedere poi ad analizzare i possibili e necessari rapporti che intercorrono fra città università, Chiesa. Le tre istituzione sono presentate come se fossero l’una all’altra contigue senza reciproche relazioni, mentre di fatto sono presenti in una stessa area geografica.
Un rapporto che passa al di sopra di istituzione non omogenee
Ciò che subito si può rivelare è che non si tratta di istituzioni omogenee: ognuna ha una sua propria fisionomia, una sua genesi, una propria funzione e persegue finalità particolari.
Città sta ad indicare un agglomerato di case e di edifici, di monumenti, di negozi, di uffici. Parlando della città, il sindaco di Firenze Giorgio La Pira diceva che essa è fatta di case, di scuole, di chiesa, di fabbriche: di abitazioni per l’uomo, di istituti per l’educazione e formazione, delle chiese come punti di riferimento per la vita cristiana, delle fabbriche come indice di ogni forma di attività lavorativa produttiva o professionale, ad aggiungeva poi che la città abbisogna anche di luoghi di incontro e di divertimento.
La città è dunque una comunità umana con un suo ordinamento sociale, giuridico, amministrativo, politico, e con proprie strutture ed istituzioni: la presiede il sindaco, con assessori per i vari servizi e diversi consiglieri. Una comunità che vive e tende a migliorare le condizioni di vita con la cultura, il lavoro, una sana conduzione amministrativa: una comunità pluralista per sensibilità, scelte, orientamenti politici e culturali dei cittadini. Una comunità che ha una storia e delle tradizioni, e cerca di darsi forme sempre nuove di convivenza, per facilitare i rapporti tra tutte le sue componenti o per sanare e ricomporre possibili conflitti fra i diversi ceti e classi sociali.
L’università è invece per eccelenza un istituto culturale che ha fra i suoi fini preminenti la ricerca scientifica e la didattica: unisce cioè al compito della ricerca quello della formazione degli studenti e della loro preparazione in un ambito o in un altro dell’umano sapere. Un istituto per sua natura complesso: vi coesistono, oltre al rettore, i presidi delle singole facoltà, professori, studenti e ricercatori, persone con varie competenze e funzioni amministrative per l’ordinato funzionamento dell’istituto. Ha un proprio statuto e ordinamento all’interno della società, ma normalmente gode di larghi spazi di autonomia, sia in forza di antiche consuetudini sia in ordine alle proprie finalità.
La Chiesa è una comunità di diversa natura. Vi si appartiene per l’adesione di fede alla Parola di Dio e per la partecipazione ai sacramenti. È una comunità religiosa che ha come fondamento e capo Gesù Cristo, per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, per statuto di vita il comandamento nuovo compendiato ed espresso da Gesù nelle parole «amatevi come io vi ha amato», ed ha come fine il regno di Dio (cfr. LG 9).
Ma mentre le altre due istituzioni, la città e l’università, nascono, si danno un ordinamento, crescono, si sviluppano e declinano ad iniziativa degli uomini, la Chiesa deve la sua origine ad una iniziativa di Dio, ha ordinamenti originali e una missione universale. Termine del disegno di salvezza compiuto nel Cristo, la Chiesa ne rende continuata la presenza nella storia annunciando il Vangelo per suscitare negli uomini la fede, celebrando la memoria del Signore e così rendendo attuale l’evento della salvezza per consentire a tutte le generazioni e ad ogni persona di conoscere ed accogliere Gesù Cristo, nel cui nome è data agli uomini la salvezza. Una comunità ad un tempo umana e divina, storica e trascendente, visibile ed invisibile insieme, gerarchicamente strutturata. Pur accogliendo una parte dell’umanità, la Chiesa è tendenzialmente universale ed aperta a tutti i popoli.
Già da questi fugaci cenni appare confermato che si tratta di tre istituzioni fra loro non omogenee, diverse anzi per genesi e struttura, oltre che per finalità direttamente perseguite. Insistono tuttavia su una medesima area e quindi sono inevitabilmente indotte ad avere tra loro dei rapporti. E ciò anche perché, di fatto, gli stessi cittadini o una parte di essi fanno parte, a titolo diverso, anche dell’università e della Chiesa. La distinzione, dunque, che esiste a livello istituzionale – guardando cioè l’università, la città, la Chiesa in se stesse – non permane più quando si guarda ai cittadini e agli universitari: gli uni e gli altri possono – e per molti questo si verifica – essere membra vive della Chiesa. Diverso è infatti il titolo di appartenenza: si appartiene alla città perché in essa si è nati e si ha domicilio; all’università perché si ha un titolo che abilita ad essere professori e studenti o in essa si assolvono delle funzioni; alla Chiesa invece si appartiene per la fede ed il battesimo nel nome di Cristo il Signore e per gli altri sacramenti che inseriscono nel tessuto della sua vita e rendono corresponsabili della sua missione.
Esiste così un rapporto che passa al di sopra delle istituzioni, dal momento che è possibile – e concretamente avviene – che le medesime persone ne facciano parte, essendo diverso il titolo di appartenenza. È allora fittizio parlare di una università, una città, una Chiesa; quasi si trattasse di tre realtà che, come sfere, ruotino ognuna in una propria orbita senza relazioni reciproche e reciproca influenza. In altri termini, la città non può ignorare l’università e la Chiesa non può ignorare né l’una né l’altra. Ogni altra ipotesi è astratta e nasce dall’illusione che basti ignorarsi perché cessi ogni reciproco rapporto e condizionamento. In questo senso dicevo all’inizio che la formulazione del tema poteva sottendere un’intenzione provocatoria.
Quali rapporti sono, dunque, configurabili fra Chiesa ed università? Su questo intendo soprattutto soffermarmi. Riformulo perciò il tema nei termini seguenti: la Chiesa in una città che è sede di università, mettendo appunto l’accento sull’università.
Preparano e prefigurano il futuro di Padova
Padova ha una sua grande storia civile, sociale, economica, politica; i monumenti ne sono una testimonianza sicura e fedele. Ma ha anche una storia culturale, resa certamente più interessante perché sede di università: una università che è fra le più antiche del nostro paese – forse la più antica, se contende il primato con Bologna -, con una sua grande tradizione di centro culturale, la cui fama anche in passato era diffusa in Europa – studenti e professori di altre nazioni vi affluivano – di custode della libertà di ricerca.
“Universa universis patavina libertas” non è solo un motto o un titolo araldico: dice un proposito, orienta un’esperienza, è quasi una professione di fede nel valore della libertà e quindi una scelta. La storia sembra confermi la sostanziale fedeltà all’impegno assunto. È, del resto, coerente con le esigenze della ricerca e dell’istruzione garantire la libertà.
Non è certo l’università a qualificare il volto della città, ma concorre a qualificarla e, date le attuali dimensioni e il numero degli studenti, fa sentire la sua presenza. La città di Padova in Italia e fuori è nota anche per la sua università. E non è solo questione di presenza istituzionale. Nell’università si preparano coloro che in prospettiva sono destinati a formare quella che si dice la classe dirigente: persone cioè che nei vari settori dell’attività professionale, con le sue molteplici articolazioni e specializzazioni, o dirigenziale, con i diversi servizi, nei settori della tecnica e della produzione, nel campo politico o amministrativo, in quello dei mass-media, per non parlare dei settori dell’istruzione o generalmente culturale, finiscono con avere compiti di primaria importanza.
L’influsso dell’università, in altre parole, non si misura sulla presenza delle diverse facoltà e dei suoi istituti di ricerca e nemmeno sul numero dei professori, degli studenti, del personale non docente, ma soprattutto sul fatto che essa è una fucina dalla quale escono coloro che in maniera incisiva concorrono a dare il tono alla città e quindi, sotto questo profilo, ne preparano e ne prefigurano il futuro.
So bene che la vita e la storia della città è fatta da tutti, che, oggi specialmente, ogni persona o ceto sociale ha un suo peso, la classe politica e le forze economiche esercitano un influsso prevalente, ma non mi pare si debba sottovalutare la capacità di incidenza dei professionisti a vario titolo e degli intellettuali.
Ho richiamato questo aspetto per sottolineare la necessità per la Chiesa di porsi un problema che interessa la sua vita e impegna la sua pastorale: un problema reale e grave che non può in alcun modo essere eluso: un problema a sé, che deve essere affrontato con un severo impegno ed una adeguata metodologia. Occorre aver di questo lucida coscienza e non credere che la pastorale ordinaria rappresenti una sufficiente risposta all’università, ma è necessario forse ripensare l’intera questione, tenendo presente ciò che è avvenuto negli ultimi anni in università, i cambiamenti in atto, le esigenze e le attese che emergono.
Tratto da:
Filippo Franceschi, Compagni di strada nella storia, Libreria Gregoriana Editrice, Padova, 1984 (pp.130-134)