Chiesa e Università a Padova nel XIII secolo
«MCCXXII – […] Tunc translatum est studium de Bononia Paduam» («1222 – […] In questo tempo fu trasferito lo Studio da Bologna a Padua») riportano gli Annales Patavini, un testo di memorie cittadine risalente all’epoca del libero Comune, informando, in maniera semplice ed essenziale, dello spostamento di studenti e professori. Le ragioni che spinsero la comunità universitaria, all’epoca duramente in contrasto con il Comune di Bologna, a scegliere Padova furono numerose, dalla disponibilità delle autorità comunali a fornire alloggi e copisti per la produzione libraria alla presenza di una vivace realtà culturale e scolastica testimoniata dalle opere di «magister Arseginus» e di Corradino di Bartolomeo. A favorire l’arrivo a Padova degli universitari contribuì anche la presenza di canonici colti in cattedrale, dove funzionava una scuola, e la vivacità organizzativa della nuova congregazione dei benedettini guidata da Giordano Forzatè, che aveva rivitalizzato il monachesimo locale, la cui rilevanza sul territorio era già bene espressa dalle abbazie di Santa Giustina e Praglia.
Al momento della ‘migrazione’ da Bologna (per l’Università di Padova appare del tutto improprio parlare di ‘fondazione’) la diocesi di Padova era guidata dal vescovo Giordano (1214 – 1228), che guardò con favore a tale spostamento. Secondo Andrea Gloria, archivista e paleografo dell’Ottocento, è più che plausibile parlare di qualche forma di legame tra il vescovo Giordano e la sua cancelleria e lo Studio. Certamente, già durante l’episcopato di Giordano, la cattedrale fu un importante punto di riferimento per la vita dello Studio, come testimonia la lettura pubblica della Rhetorica antiqua di Boncompagno da Signa, uno dei docenti che si era spostato a Padova sull’onda della secessione da Bologna, avvenuta nel 1226 alla presenza del vescovo, del legato apostolico Alatrino e del teologo milanese «Ciofredus», identificato con il futuro papa Celestino IV (Goffredo Castiglioni).
L’approdo a Padova degli studenti universitari si intrecciò con l’arrivo quasi contemporaneo in città degli ordini mendicanti, domenicani (Predicatori) e francescani (Minori). Le prime fonti che attestano questa relazione sono tre documenti (due atti di donazione di un terreno da parte della famiglia “de Vado” e la concessione della posa della prima pietra da parte del vescovo), redatti il 19 ottobre 1226, con i quali veniva ceduto a fra Guido, priore domenicano, il terreno su cui sarebbe sorto il convento di Sant’Agostino: in questi documenti figurano, infatti, oltre ai donatori e ai rappresentanti del capitolo della cattedrale e dei benedettini, anche maestro Uguccione, canonico del duomo, e due professori dello Studio, il decretista Rufino e il decretalista Giacomo da Piacenza.
Nel primo decennio di vita dell’Università furono presenti in città Alberto Magno, futuro teologo e vescovo, giunto dalla Germania per approfondire le ‘arti liberali’ presso lo Studio e, dal 1227, sant’Antonio, che ebbe forti rapporti con la cultura universitaria, come testimoniano i suoi ‘sermoni’, caratterizzati da riferimenti alle opere aristoteliche dedicate alla natura. Secondo l’Assidua, la più antica delle biografie di sant’Antonio, alla morte di questi, accorse la «litteratorum turma scholarium» («la folla degli uomini delle scuole») per onorarne la salma, confermando con tale gesto il legame che il santo aveva con gli ambienti universitari.
Sulla vita dello Studio durante la dominazione di Ezzelino III da Romano (1237 – 1259) non abbiamo notizie certe, ma solo ipotesi, che derivano soprattutto dalla conoscenza della cultura presente nel convento francescano di Santa Maria Mater Domini (poi convento di Sant’Antonio) e nel convento domenicano di Sant’Agostino. L’interesse per gli studi della realtà naturale e la conoscenza di scritti aristotelici e averroistici lasciano supporre che, nonostante il clima di sospetto e di terrore, lo Studio sia riuscito a sopravvivere.
Nel corso del XIII secolo, la compenetrazione tra realtà ecclesiale e ambienti universitari fu fitta, legata, inoltre, alla comunanza ed intreccio di interessi di studio, bene attestata dal fatto che l’attenzione per la natura era ben diffusa tra i religiosi e che le ricerche teologiche attiravano membri dell’Università. Un esempio noto di questa relazione è rappresentato dai rapporti tra istituzioni ospedaliere e scienza medica e universitaria. Lo testimonia la composizione nel 1253 del Chirurgia magna, uno dei più famosi trattati di quella materia del medioevo, da parte di Bruno da Longobucco mentre si trovava «in loco Sancti Pauli», un piccolo ospedale gestito da canonici regolari nei pressi della Porta di Ponte Molino. Lo confermano l’appoggio economico dell’abate di Praglia agli studi condotti presso l’Università di Parigi da Zambonino da Gazzo, poi professore di fisica e scienza naturale presso lo Studio padovano, e i «multa servitia» forniti da «magister Agnellus», professore nel 1261 di filosofia naturale e medicina, agli ospedali gestiti dai monaci pragliesi. A questo quadro di relazioni è riconducibile il ritrovo dell’intero corpo dei docenti di materie scientifiche e letterarie e della prima associazione degli studenti di queste discipline per ascoltare la lettura pubblica della Cronica redatta da maestro Rolandino, evento avvenuto il 13 aprile 1262 nel chiostro di Sant’Urbano, una struttura dipendente dai benedettini di Praglia e collocata nel pieno centro cittadino.
Un evento di pochi anni posteriore alla lettura della Cronaca di «Rolandinus magister», accaduto il 17 aprile 1271, testimonia ulteriormente lo stretto legame fra Università e realtà ecclesiastica locale e il ruolo importante che questa aveva per la vita degli scolari e dei dottori. Quel giorno, infatti, il vescovo di Padova, il priore dei domenicani e il padre guardiano dei francescani, assieme ai dottori e agli scolari dello Studio, testimoniarono a favore di Amalrico di Montfort, un nobile inglese imparentato con la famiglia reale dei Plantageneti, dichiarando che egli si trovava a Padova per studiare medicina il 13 marzo precedente, giorno in cui i suoi fratelli Guido e Simone, per atroce vendetta, assassinarono a Viterbo il principe Enrico di Cornovaglia, loro cugino e nipote di Enrico III d’Inghilterra (a questa triste vicenda allude Dante in Inferno XII, 119 – 120).
Anche se frammentarie, queste informazioni ci attestano la presenza, fin dai primi decenni di vita dello Studio, di una rete di rapporti tra Università e istituzioni ecclesiastiche locali, che si sarebbero consolidati (talvolta anche attraverso momenti di frizione) nei secoli successivi.