Nel corso dei secoli la vita universitaria è stata scandita e accompagnata da appuntamenti istituzionali di carattere religioso e da esperienze spirituali che hanno contribuito ad influenzare l’impegnativa platea di scolares e di professori dell’ateneo. Attraverso funzioni e forme di predicazioni specifiche, la realtà ecclesiale si è preoccupata fin dalle origini dello Studio di accompagnare la vita religiosa di quanti lo frequentavano.
Nel sistema del regime di cristianità, dove i valori e i riferimenti della religione organizzavano la vita sociale, le attività dello Studio furono regolamentate, in età medievale e moderna, dal calendario delle festività cristiane, sia universali sia locali, e puntualmente accompagnate da funzioni religiose. Il momento più importante e solenne era l’apertura dell’anno accademico, che avveniva in cattedrale alla presenza dell’intera comunità universitaria, nel giorno di San Luca (18 ottobre). Secondo uno schema certamente in uso dalla metà del Quattrocento, partendo dai luoghi dove svolgevano lezione, gli studenti e i professori delle singole Facoltà convergevano verso il duomo, dove, alla presenza del vescovo (o di un suo rappresentante, se il vescovo era fuori sede) e delle autorità cittadine, un docente pronunciava l’orazione pro solemni studiorum instauratione (per l’inaugurazione solenne degli studi), con cui si invitavano gli scolari a coltivare l’amore per il sapere e la verità, e veniva affisso il rotulo contenente i nomi dei professori che avrebbero svolto le lezioni nel corso dell’anno accademico. A questi eventi seguiva la celebrazione della messa in onore dello Spirito Santo, presieduta dal vescovo o da un suo delegato.
Momenti importanti della vita religiosa della comunità universitaria erano le celebrazioni tenute in occasione delle feste dei patroni. La festa patronale più antica, regolamentata da uno statuto del 1377, era quella di santa Caterina (25 novembre), protettrice dei legisti a Padova, ma patrona degli uomini di cultura un po’ in tutte le università del Medioevo. In occasione della festa, gli scolari italici erano esentati dalle lezioni e, a partire dal XVI secolo, venivano distribuiti alle nationes che componevano lo Studio confetti pagati dalla comunità ebraica di Padova. Dal 1377 venne stabilito che la festa fosse onorata dall’ateneo al completo, che doveva recarsi in solenne processione alla chiesa di Santa Caterina, ancora esistente nell’attuale via Cesare Battisti, dove veniva tenuto il panegirico e celebrata la messa. Il festeggiamento solenne della santa si mantenne, almeno ufficialmente, fino alla fine al crollo della Serenissima.
Un’altra festa patronale di grande rilievo era quella di san Tommaso d’Aquino. A partire dal 1436, nella giornata del 7 marzo, allora festa del Dottore Angelico (oggi si festeggia il 28 gennaio), gli studenti del settore filosofico e medico, che erano chiamati ‘artisti’, convergevano nella grande chiesa dei frati Predicatori (domenicani) intitolata a Sant’Agostino, dove ascoltavano la messa e un discorso tenuto in onore del santo. Al termine, sempre in processione, riaccompagnavano il loro rettore presso la sua abitazione. Per l’Universitas degli artisti la festa di San Tommaso era l’occasione per ribadire il profondo legame che la univa ai domenicani: in quell’occasione, infatti, veniva consegnata ai frati un’offerta, avanzata in cambio di assistenza agli studenti artisti ammalati e di sepoltura dei defunti.
Meno imponente e solenne delle due precedenti era la festa di san Girolamo, celebrata ogni 30 settembre. Nell’occasione gli studenti e dottori membri della Facoltà di teologia si recavano per le funzioni di rito presso la chiesa dell’ordine religioso a cui apparteneva il decano della Facoltà.
In occasione delle importanti festività del Corpus Domini e di Sant’Antonio (13 giugno), studenti e professori intervenivano alle grandi processioni cittadine. Questa partecipazione esprimeva tanto lo stretto legame presente fra realtà universitaria e vissuto religioso padovano quanto il coinvolgimento nella visione di città promosso, in successione, da Comune, Signoria carrarese e dominazione veneziana: intervenendo con i propri stemmi e prendendo posti precisi in queste manifestazioni di fede, i membri dello Studio si dimostravano inseriti e partecipi nell’idea di società cittadina promossa, pur con obiettivi politici diversi, dai soggetti che governarono Padova tra l’età medievale e l’età moderna. Questo duplice significato, religioso e politico, si mantenne durante il governo asburgico (1814 – 1866), sotto il quale la partecipazione alla messa in cattedrale e alla processione in onore del Corpus Domini furono considerate ineludibili «funzioni dello Stato», a cui tutte le autorità accademiche, i professori e i funzionari dell’ateneo dovevano intervenire in «uniforme di gala».
La vita religiosa dell’internazionale comunità universitaria si appoggiò a strutture ben precise. Nel 1350, per iniziativa del modenese Bonifacio Boccabadati, iuris utriusque professor (professore di diritto canonico e di diritto civile), venne istituita presso la chiesa di Sant’Andrea una cappellania sotto il titolo di Maria Vergine e di santa Caterina martire e stabilito che un sacerdote, scelto dai rettori e dagli scolari di legge dell’Università, vi celebrasse la messa quotidianamente. Alla metà del Cinquecento la Natio germanica ottenne il permesso di seppellire i propri studenti e dottori giuristi presso la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, altrimenti nota come chiesa degli Eremitani (successivamente le sepolture vennero effettuate presso la chiesa di Santa Caterina), e gli scolari artisti presso la chiesa di Santa Sofia. Dalla fine del XVI secolo, avuto il permesso dai frati minori conventuali, gli studenti della Natio Regni Poloniae e Magni Ducatus Lituaniae presero a ritrovarsi nella basilica di Sant’Antonio, presso l’altare di san Stanislao (oggi altare dedicato a san Massimiliano Kolbe), per la celebrazione delle funzioni religiose.
Accanto ad appuntamenti fissi e alla messa a disposizione di strutture, l’articolata realtà ecclesiale presente a Padova provvide periodicamente ad offrire proposte spirituali forti e stimolanti ai membri dello Studium. Il primo a misurarsi con l’impegnativa popolazione studentesca fu il beato Giordano di Sassonia (1190 – 1237), maestro generale dei frati predicatori e successore di san Domenico. Giunto a Padova nell’estate 1223, egli si rivolse agli scholares, invitandoli ad abbracciare la vita religiosa. La reazione degli universitari fu, in generale, fredda e derisoria. Tuttavia una decina di studenti – fra cui, secondo una tradizione peraltro discussa, figurò anche un giovane tedesco, Alberto, poi divenuto domenicano e famoso nei secoli con l’appellativo di Magno – venne colpita dalla sua predicazione e decise di intraprendere una vita di studio e di preghiera, entrando nell’ordine domenicano.
È ipotizzabile che anche sant’Antonio, giunto a Padova nel 1228, si sia rivolto agli scolari e ai maestri dello Studio. Egli, infatti, fu certamente in contatto con la cultura universitaria come suggerisce il tratto colto dei Sermones – testi da lui redatti per figure dedite alla predicazione – e il supporto dato dall’Università alla richiesta di canonizzazione avanzata dal vescovo e dal podestà a papa Gregorio IX, come esplicitamente ricorda Vita prima di sant’Antonio.
Un periodo particolarmente intenso di proposte spirituali fu quello compreso fra il XV e il XVI secolo. Nella prima metà del Quattrocento la vita religiosa di alcuni studenti universitari prese a gravitare attorno al monastero di Santa Giustina, guidato dal 1409 dall’intraprendente Ludovico Barbo. Attratti dall’intensità e dal rigore della vita spirituale monastica rilanciata con fermezza e costanza dal giovane abate, molti scolari e professori iniziarono a condividere con i monaci momenti di preghiera e di studio. Dalla vestizione del pavese Paolo de Strata, avvenuta nel marzo 1410, furono decine gli studenti universitari che decisero di entrare nell’ordine benedettino, contribuendo in maniera decisiva al consolidamento culturale del grande progetto di riforma del monachesimo promosso dall’abate Barbo su tutto il territorio della penisola italica.
Oltre all’abbazia di Santa Giustina, altri ambienti ecclesiastici attrassero l’attenzione della popolazione universitaria. Nella quaresima del 1423, sul sagrato della basilica di Sant’Antonio san Bernardino da Siena, il più noto dei grandi predicatori francescani dell’epoca e figura attenta ai problemi di morale sociale, tenne un ciclo di prediche in cui si rivolse agli studenti universitari, noti per la loro condotta godereccia e violenta, esortandoli ad aprirsi al senso cristiano del sapere che doveva tramutarsi in santità di vita. Nella seconda metà del Quattrocento il monastero di San Giovanni di Verdara, retto dai canonici regolari lateranensi, divenne per la Padova universitaria un luogo di riferimento, dove la liturgia e la preghiera contemplativa si integravano con lo spirito umanistico e con l’amore per la cultura classica vivificata dalla tradizione cristiana, alimentati dall’attività di figure colte come Celso Maffei e Matteo Bosso e dalla presenza di una biblioteca scelta.
Tormentato e problematico fu il rapporto fra la realtà universitaria e i gesuiti, presenti a Padova tra il 1542 e il 1606, allorché la Serenissima venne colpita dall’Interdetto e la Compagnia di Gesù abbandonò i territori veneziani, dove fu riammessa solamente mezzo secolo dopo. L’istituzione e consolidamento di «scole» di umanità e di grammatica in chiara concorrenza con la formazione di base offerta dall’ateneo produsse forti tensioni. L’autorevolezza spirituale dei gesuiti, fra cui figuravano personalità di grandissimo spessore culturale come padre Antonio Possevino, non mancò, tuttavia, di influenzare parte della componente studentesca, come ci testimonia la vicenda di san Francesco di Sales, che, inviato a Padova dal padre per studiare diritto, maturò la scelta di intraprendere la vita sacerdotale, dopo avere frequentato, oltre ai francescani del Santo, il Collegio gesuita situato laddove sorge oggi l’ospedale civile. Ritornati nel 1657, i gesuiti ripresero la loro attività spirituale e culturale tra gli studenti, suscitando vocazioni alla vita consacrata, come accadde per Tristano Attimis (1707 – 1748), che, durante gli anni universitari, entrò in contatto con la Compagnia di Gesù e decise di abbracciare la strada della missione, che lo condusse in Estremo Oriente, dapprima a Macao e, successivamente, a Nanchino.
Nel corso dell’Ottocento, durante la dominazione asburgica, vennero imposte, con il sostegno delle autorità accademiche, diverse iniziative di carattere religioso, destinate, però, a scontrarsi con le irrequietezze della componente studentesca: i regolamenti accademici allora in vigore prevedevano che gli studenti partecipassero alle istruzioni religiose e soddisfacessero il precetto pasquale, aspetto, quest’ultimo, che veniva documentato dal clero con il rilascio di un apposito certificato. In questo contesto vanno inseriti i momenti di spiegazione dei vangeli aperti agli studenti, promossi, tra il 1831 e il 1832, con l’appoggio del rettore Girolamo Molin.
La cura alla formazione religiosa e spirituale degli studenti universitari proseguì dopo l’ingresso del Veneto nel Regno d’Italia (1866), nonostante pesassero le tensioni legate al conflitto fra il neonato Stato italiano e la Chiesa e nell’ateneo fossero diffusi idee positiviste e orientamenti ferocemente anticlericali. Già nel 1867 nacque il Circolo Sant’Antonio, affiliato alla Società della Gioventù Cattolica, in cui confluirono studenti universitari e giovani laureati che aderivano all’intransigenza cattolica. Nel 1890 il vescovo Giuseppe Callegari promosse la nascita di una Scuola di scienza religiosa per gli studenti universitari, in cui, pur con finalità apologetiche, si cercò di tenere insieme il binomio fede e cultura. Nel 1897, sempre per iniziativa del vescovo, sorse il circolo padovano della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci), chiamato in città a formare giovani culturalmente impegnati e capaci di conciliare la testimonianza cristiana con lo studio.
La nascita della Fuci a Padova si intrecciò con l’azione di formazione promossa dai gesuiti, che erano tornati a Padova nel 1873, dopo essersene andati nel 1866. Nel 1878 fondarono una Residenza in via Ognissanti (attuale via Belzoni), dove, a partire dall’ultimo decennio del secolo, un numero progressivamente crescente di studenti poté trovare ospitalità, partecipare alla messa quotidiana e sperimentare, attraverso l’attività di assistenza ai poveri del quartiere Portello, il concreto legame esistente fra fede, studio e carità. L’impegno di cura materiale e spirituale svolto dai gesuiti a carico degli studenti non si fermò qui: sotto la guida di padre Giuseppe Stanislao Leonardi, aprirono nel 1906 l’Antonianum, un imponente pensionato universitario posto a ridosso dell’Orto botanico, dove l’attività di studio in ambito accademico era affiancata da una solida proposta di formazione cristiana. Nel corso del secolo l’Antonianum divenne un luogo di riferimento per la vita culturale cittadina e per la formazione di una coscienza cristiana attenta alle esigenze dei più poveri. In questo ambiente, inoltre, prese corpo nella seconda metà degli anni Sessanta, ad opera di padre Mario Ciman, docente di chimica alla facoltà di Medicina dell’Università di Padova, il Movimento degli Universitari Costruttori che intendeva ed intende declinare la carità cristiana attraverso il lavoro edilizio.
Un periodo di rinnovata cura della vita religiosa universitaria si aprì nel secondo dopoguerra. Nel dicembre 1945 venne istituito al Santo uno Studio teologico per laici con l’intento di offrire una solida istruzione teologica a quanti frequentavano gli ambienti accademici.
Durante l’episcopato di Girolamo Bortignon (1949 – 1982) la formazione cristiana degli universitari divenne oggetto di uno specifico progetto pastorale, che si tradusse nell’inaugurazione e consolidamento di numerose strutture ed iniziative tese ad alimentare una radicata fede cristiana tra gli uomini di cultura. Il vescovo Bortignon appoggiò il Presbyterium, avviato nel febbraio 1949 da mons. Giovanni Strazzacappa, e supportò il progetto del Cuamm (Collegio universitario aspiranti medici missionari), aperto dal dottor Francesco Canova nel 1950, che venne affidato affidato alla cura pastorale di don Luigi Mazzucato: luoghi volti a stimolare una coscienza missionaria fra gli studenti e i docenti dell’ateneo. Rilanciò la celebrazione della messa di inizio anno accademico presso la chiesa di Sant’Andrea e, nel 1969, diede avvio al Centro Universitario di via Zabarella animato fin dalle origini da don Cristiano Bortoli e poi da don Roberto Ravazzolo e attivo tuttora nella promozione e organizzazione di iniziative sociali, culturali e religiose a favore degli studenti.
L’attenzione alla cura della vita spirituale degli universitari è proseguita con i vescovi Filippo Franceschi (1982 – 1988) e Antonio Mattiazzo (1989 – 2015), impegnati personalmente nella preparazione spirituale delle componenti universitarie alle feste del Natale e della Pasqua. Nel 1990 venne istituita presso l’antica chiesa di San Massimo una “Cappella Universitaria”, dove quotidianamente viene celebrata una messa per gli studenti dell’ateneo da don Giovanni Brusegan, a cui si è poi aggiunta un’ulteriore “chiesa universitaria” nella chiesa di Santa Caterina, luogo – come si è detto sopra – storicamente connesso alla vita universitaria padovana. Certa della sua fede in Cristo, la Chiesa di Padova continua, quindi, ancora oggi ad impegnarsi per la crescita spirituale di quanti frequentano gli ambienti accademici.